Dopo l’esperienza del lockdown, molte persone stanno manifestando una resistenza ad uscire di casa. Si chiama Sindrome della Tana ed è un fenomeno che riguarda in modo particolare i giovani che, nonostante la libertà ritrovata, non hanno intenzione di tornare nel mondo, anzi, manifestano la volontà di restare chiusi tra le mura intime e nel caldo bozzolo che hanno costruito intorno a sé durante queste settimane di isolamento.
Se, almeno inizialmente, si è avvertito quel senso di claustrofobia dovuto alla costrizione e all’imposizione, col passare del tempo ci si è adagiati su questa condizione, finendo col trovare una nuova dimensione, una propria comodità all’interno del contesto intimo e sicuro della propria abitazione.
Ma da cosa dipende questo? Perché alcune persone, più di altre, hanno difficoltà a lasciare la propria casa?
La volontà di rimanere tra le proprie mura domestiche è un fenomeno che ha diverse radici e la sua base può essere fonte di piacere o fonte di dolore. Vediamone alcune:
Essere costretti a casa ha fatto sì che le persone si vedessero obbligate anche a confrontarsi con il mondo interiore di qualcuno fino ad ora sconosciuto: se stessi.
Vedersi costretti a trascorrere del tempo con la propria persona ha portato alla scoperta di lati personali, di passioni e di attività prima ignorate. È così che la Sindrome della Tana comincia a manifestarsi in modo sempre più intenso: tornare al mondo di fuori, poi, porterebbe ad allontanarsi da questi lati di sé e a trascurarli.
La propria casa è anche sinonimo di protezione.
Tornare tra le mura domestiche dopo una giornata di lavoro/scuola/università, significa per molti “spogliarsi” di tutte le ansie del mondo esterno e trovare un porto sicuro, un nido di pace. Questo vale per i giovani, che trovano conforto tra le loro cose personali, i loro hobby e i membri della famiglia, ma anche per gli adulti, per i quali le mura domestiche sono un guscio che allevia le ansie.
Per molte persone, in particolare per i più giovani, il corpo è un biglietto da visita. Il modo in cui ci si veste e ci si atteggia costituiscono l’identità personale che si vuol mostrare al mondo esterno. Questi elementi sono tra le basi costitutive della Sindrome della Tana.
Le nuove misure di sicurezza, che prevedono l’uso di dispositivi di protezione, possono avere un impatto negativo sulla persona: indossare la mascherina, i guanti e tenere un certo atteggiamento fisico richiedono un adattamento che per alcuni può essere fonte di stress e di dolore. È per questo che, davanti al dolore e al disagio, spesso si preferisce negare e sopprimere la volontà di uscire.
Riscoprire il piacere di stare con se stessi e vivere la propria casa e la propria intimità come occasione di riscoperta, è un modo salutare per affrontare i periodi di crisi. Ma quando si finisce vittime della propria intimità, si inizia a tessere un bozzolo sempre più fitto, dal quale poi risulta sempre più difficile uscire. È così che il piacere di viversi diventa la claustrofobia di esistere e la routine è destinata a paralizzare lo sviluppo personale, favorendo un fenomeno regressivo sempre più invalidante.
Ti è piaciuto l’articolo? Condividilo sui tuoi social!