Martina è appena stata bocciata ad un esame a cui teneva. Era importante per lei superarlo ed aveva studiato tanto. Per evitare di dare subito la brutta notizia in famiglia e agli amici più stretti, decide di fare ciò che fa sempre per distrarsi e distendere i nervi: fare un giro sui social.
Sperava che guardare i post dei suoi amici reali e virtuali e cercare frasi motivazionali l’avesse tirata su di morale come sempre, ma inaspettatamente accade qualcosa di strano: più scorre la bacheca, più si sente triste. Ad un certo punto comincia a provare una gran tristezza.
Cosa è successo? Come mai guardare la bacheca suscita in Martina sentimenti di sconforto? Non dovrebbero, invece, tirarla su di morale?
Perché si dovrebbero evitare i social dopo un fallimento?
Uno studio recentemente pubblicato su Emotion ha indagato, attraverso due esperimenti il modo che le persone hanno di reagire al fallimento, in quella che può essere definita “la società della felicità”, come è la nostra.
In un esperimento esemplificativo, a tre gruppi di partecipanti è stato chiesto di completare un compito basato sugli anagrammi, in cui bisognava decifrare le lettere per creare delle parole. In due dei tre gruppi, il compito dell’anagramma era impossibile da completare, il che ha portato a sperimentare un’esperienza di fallimento.
Nel primo gruppo le persone che avevano fallito al compito erano sedute in una stanza della felicità piena di poster, libri e note adesive, che trasmetteva motivazione e benessere. I soggetti del secondo gruppo, invece, sedevano in un ambiente neutrale.
Al terzo gruppo erano stati assegnati degli esercizi con anagrammi fattibili e i soggetti erano seduti nella stanza della “felicità”.
Tutti i soggetti, poi, sono stati valutati secondo diverse scale, tra cui quella che prevedeva la misura della ruminazione.
I soggetti che avevano fallito gli anagrammi e che erano seduti nella stanza della felicità si lamentavano molto di più del loro fallimento rispetto ai soggetti nella stanza neutrale che, allo stesso modo, avevano fallito il compito.
Un secondo studio correlazionale ha confermato questi risultati e ha evidenziato come le persone che cercano di evitare le emozioni negative siano quelle che, in realtà, sperimentano i gradi di malessere più elevati. Più la cultura impone di mascherare e/o di non provare emozioni negative, più la singola persona le prova.
I ricercatori hanno concluso che quanto maggiore è l’enfasi che una cultura pone sulla felicità, tanto maggiore è la pressione sociale a non provare emozioni negative, tanto più intensamente si reagisce alle emozioni negative quando le si prova. Sia che si tratti di un fallimento, sia in senso più generale.
Elaborare le ferite emotive che il fallimento crea richiede un processo in due fasi.
Nella prima fase, dovremmo sempre darci il tempo e lo spazio per sperimentare emozioni negative quando queste si presentano, specialmente quando abbiamo a che fare con un’esperienza di fallimento. Questo significa anche che dovremmo accogliere i sentimenti angosciati e negativi che i nostri amici e i nostri cari provano quando sperimentano fallimenti o rifiuti.
Allo stesso tempo, però, poiché il nostro obiettivo è quello di stare bene, dobbiamo cercare di limitare il tempo in cui restiamo con le emozioni negative addosso.
Bisogna dare il tempo a se stessi di riconoscere il malessere emotivo e dargli un senso, ma non tanto da restarvi impigliati dentro fino ad arrivare a ruminare.
Quando le nostre emozioni negative non vengono accolte e convalidate dagli altri o quando, come per Martina, vediamo intorno a noi messaggi che affermano che è sbagliato provare malessere emotivo, è molto probabile che i nostri sentimenti negativi diventino ancor più acuti. E finiamo col sentirci male sia per il fallimento sperimentato, sia per il fatto stesso di sentirci male.