Tra gli argomenti più “social” degli ultimi tempi, un posto d’onore va senza dubbio ai Selfie e a chi si rende protagonista auto-immortalandosi nelle pose più disparate. Rendersi protagonisti, appunto.
E’ opinione diffusa e condivisa, infatti, che gli utilizzatori più accaniti della modalità selfie sono persone che hanno bisogno di mettersi al centro dell’attenzione, Narcisi moderni innamorati solo di se stessi e della propria immagine.
Ma è davvero sempre così? Gli accaniti praticanti del selfie incarnano veramente i nuovi Narcisi che come specchio usano il display del proprio smartphone?
Le foto sono sempre state un modo per comunicare, al confine tra la tecnica e la poetica: emozioni, sensazioni, modi di vedere, di pensare, hanno sempre trovato un agevole veicolo e tunnel temporale attraverso la fotografia, in grado di immortalare e perpetrare.
I selfie, vengono (ed aprono) da un altro mondo, certo, non hanno nulla a che fare con le capacità tecniche esibite dagli artisti che portano con sé una macchina fotografica professionale, ma non sono da meno in quanto a capacità (o almeno tentativo) di trasmissione: attraverso l’autoscatto si condivide la propria immagine, quindi se stessi.
L’intento sembra nobile, allora: Condividere con gli altri, condividere con il mondo e -molto spesso- raggiungere più persone possibili lanciando online il volto umano, simbolo inequivocabile di identità.
Dietro questa aperta condivisione, però, è possibile scorgere lo spettro, neanche tanto nascosto, della ricerca di approvazione.
Ricerca di approvazione non di se stessi in quanto persone inviduate e dotate di peculiarità interiori, ma di approvazione di ciò che l’immagine veicola. Cosa veicola, quindi, questa immagine?
Ciò che emerge dai selfie, e che quindi la persona vuol trasmettere attraverso l’autoscatto, è il suo sé idealizzato, vale a dire un sé costruito secondo ciò che si vorrebbe essere, tratti fisici e, perché no, tratti caratteriali, con cui ci si vuole presentare al mondo.
E’ per questo motivo che, molto spesso, il selfie non è un prodotto spontaneo, ma il risultato di “prove ed errori”, per essere poi lanciato online solo se soddisfa i parametri del sé idealizzato.
Se vi è capitato di trovarvi in qualche grande città, sicuramente vi sarete visti proporre dai venditori ambulanti gli, ormai famosi, selfie-stick! Ritrovati dell’ingegneria, fini prolungamenti degli arti e capolavori prossimi all’intelligenza artificiale, che permettono di scattarsi delle foto evitando il fastidiosissimo effetto “braccio lungo e spalle storte” che si ottiene quando ci si scatta una foto in modo tradizionale.
Oltre l’evidente vantaggio pratico che questi arnesi forniscono, vi siete mai chiesti l’origine (e l’effetto che fa!) del bisogno di ottenere una foto classica da un autoscatto? Perché si ha la necessità di esibire un autoscatto come se fosse una foto scattata da un’altra persona?
Sembra che questa foto sia stata scattata da qualcun altro, mentre invece ero solo.
La questione è aperta alle riflessioni:-)
Tornando agli autoscatti (con o senza selfie-stick), a cosa serve quel selfie che tanto rispecchia il sé ideale, una volta che è stato messo online e condiviso?
Ora non resta che vedere se riesce a soddisfare il bisogno di piacere della persona, che sarà misurato in base ai Like ricevuti. Ogni “mi piace” è un apprezzamento ed una conferma della propria identità che però, paradossalmente, diviene sempre più sfumata e frammentata, se la conferma di sé è legata all’ammontare dei click.
Un rafforzamento ed una continua conferma di un lato, ed una crescente dipendenza e frammentazione dall’altra.
Augurandosi che la situazione non precipiti, generando cambiamenti di intensità che demarcano confini patologici.
Quanto ha a che fare questo col narcisismo che, più o meno, conosciamo già?